Pensieri intorno alle sculture di
Guglielmo Marthyn.
Un sentiero o una traccia che si
rispetti attraversa sempre un bosco.
D’inverno è l’incanto dei rami che
toccano terra coperti di neve,
d’estate è il riparo dal sole, la
luce che filtra tra mille foglie.
Con gli alberi si ripassano le scale
cromatiche dei verdi, dei marroni,
dei grigi e dei rossi, nonché del
giallo e dell’oro. Si raccolgono
foglie nel ricordo di quando era
d’obbligo d’autunno portarne a
scuola una collezione; e come allora
ci si incanta tra nervature e
sfumature. Talvolta si abbracciano,
spesso si accarezzano cortecce
resinose e nodi, si esplorano cavità
che, si immagina, possano ospitare
folletti.
E poi ospitano gli uccelli: si
inseguono gli svolazzi in entrata ed
in uscita dai rami e dal canto si
tenta di indovinarne
la specie: è un dono quando
si riesce a vedere la testa di un
picchio che perfora un tronco!
Cadute le foglie i rami svelano
architetture di nidi. Sono abitati
da scoiattoli, ghiri, felini e da
ogni sorta di insetti volanti,
nonché da altre creature che non ci
è concesso di vedere, neanche con
l’aiuto della luna.
La vista degli alberi, di ogni
albero è una gioia: e questo è
quello che ci dicono le sculture di
Guglielmo.
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